tratto da:
http://www.novararunning.it/racconti/trail_bangher_daniela%20_banfi.htm
fame d'erba
E’ un libro che raccoglie fotografie e pensieri sulla vita dei pastori, pastori di pecore, vita dura e quasi sconosciuta, come quella dell’uomo incontrato sulla salita verso il rifugio Rivetti, domenica al Bangher, tradizione antica quanto le vette che ci circondano, appoggiato ad una grossa pietra, cappello calato sugli occhi, braccia conserte stava lì a guardarci, pareva una statuina del presepe.
Un tizio dietro di me gli ha gridato, mentre salivamo, parole in una lingua a me sconosciuta, un dialetto della zona, un breve dialogo, uno scambio di battute tra uomini del Biellese ed ecco riaffiorare il ricordo del racconto di Maurizio su quest’uomo che vive l’estate sulle montagne, con i suoi animali, il silenzio, poche cose e nulla per ripararsi se non la volta celeste e quando piove un telo per tetto, vita dura lontana da ogni nostro pensare, eppure esiste ancora, vagabondando per le montagne, le valli, le pianure alla ricerca d’erba, un ciclo perennemente uguale ritmato dalle stagioni e dalle loro bizze, un po’ come noi amanti della corsa rincorriamo a seconda del periodo le gare a cui partecipare, d’estate i trail, in autunno d’asfalto, in inverno il pantano dei cross in primavera ancora asfalto o pista, peregrini sempre alla ricerca di qualcosa, sempre spostando il proprio orizzonte, pastori dei nostri sogni.La montagna fatta d’asperità, di sassi e di pallini gialli da inseguire, di sudore che gocciola persino dal mento, di difficoltà nel carburare all’inizio, come se il motore si fosse in qualche modo invasato e non riuscisse a raggiungere i giri giusti, la nebbia sopra la testa nasconde il rifugio che appare improvviso come in sogno, velato.Un paio di bicchieri d’acqua e poi via di nuovo, ancora su fino al Colle della Mologna Grande. Arrivare è stato come aprire una finestra sul mondo, dopo aver salito una scala a pioli, l’ultimo gradino, il più grande e davanti uno spettacolo splendido ed i primi timori, si scende, la mia compagnia si allontana in un batter di ciglia, oltre a perdere loro, perdo la via e mi ritrovo nel bel mezzo di una pietraia, lo smarrimento mi fa sembrare tutto più grande, enorme, torno indietro e riprendo la strada, mi sento un po’ Pollicino, lui alla ricerca di briciole io di segni gialli sulle rocce, licheni artificiali.Mentre scendo gli occhi sono rivolti a dove mettere i piedi, poco spazio all’ambiente circostante, ma l’arrestarsi per qualche attimo mi permette di guardare un po’ avanti alla ricerca di qualcuno, ma sono completamente sola, sola con i miei dubbi e le mie paure, con questa sfida aperta che voglio portare a termine, con quel senso di fragilità e inadeguatezza che mi pervade, con quella vocina che ogni tanto mi sussurra:”guarda un pò in quale avventura ti sei cacciata, te le vai proprio a cercare" e l'altra quella piùintransigente :"Taci, non la spaventare" ed io intanto continuo a scendere con i bastoncini tra le mani che in qualche modo mi danno sicurezza.Poi, finalmente, lo scenario muta, le pietre lasciano spazio all'erba, le bandierine rosse mostrano la direzione, l'attenzione è sempre viva, perché spesso sassi bianchi riaffiorano dagli steli verdi, ma alla fine po’ di pace, una distesa rigogliosa si protrae fino alconfine visivo, lassù, su quello che sembra un piccolo valico un ombra, un uomo guarda verso di me, si abbassa e poi si rialza, ma è lì fermo, il prato assomiglia ad un acquitrino, i piedi affondano nell’acqua, sento il frescore invadermi le scarpe, ho voglia di non pensare e di percepire la morbidezza sotto i piedi.Arrivo in cima e l’uomo non c’è più, ma per terra trovo dei bicchieri con acqua e sali, delle fette di limone, dei tocchetti di cioccolato, prendo uno spicchio, l’aspro delsucco mi scuote, bevo un sorso d’acqua e riparto, mentre scendo lui risale lo ringrazio e poi vedo il nevaio, a sinistra, devo stare a sinistra, la neve è lì alla mia destra un fazzoletto bianco tra il grigio delle pietre.I pensieri si alternano, il timore si mescola all’ottimismo, al cambio di pendenze e di terreno, il cielo è grigio se arrivasse un temporale sarebbe un guaio devo muovermi, ma a tratti sono più rigida delle pietre.Come un miraggio davanti a me compare un ragazzo, zoppica, allungo per cercare di raggiungerlo, non mi deve sfuggire, come Robinson Crosuè ha incontrato, sull'isola deserta,Venerdi io fra i monti ho trovato Riccardo che partito con una caviglia mal messa fatica ed incespica, ora mi sento tranquilla, qualsiasi cosa siamo in due, si chiacchiera, si cercano insieme i segnali gialli, insieme arriviamo al ristoro dell’Alpe il Toso, guadiamo il torrente, mi da una mano mentre sono in bilico su una roccia. Sappiamo che ora ci aspetta la Bocchetta del Croso lassù da qualche parte tra gli alberi, non sembriamo più quei due insicuri, traballanti che scendevano poco prima, ma andiamo all'attacco dellasalita, pare di respirare anche se il fiato si fa più corto, cambia l’assetto e le gambe ringraziano.Sembra veramente di essere in una foresta tropicale, il sentiero è appena accennato, le piante lo infestano, però si sale, con grinta come fossimo appena partiti, legambe nude avvertono i rami, le foglie sfregare la pelle, aggiriamo il monte ed ecco che si scollina, da ora in poi sarà solo discesa, ultima fatica, stavolta ci porterà di nuovo al paese, il primo tratto è brutto, ma poi si trasforma in una mulattiera e riusciamo acorricchiare.Il 20°km, marcato su una pietra piatta mancano meno di 4km, siamo quasi arrivati, le prime case, le prime persone, il tratto in salita nel bosco, manca sempre meno, stiamo correndo, le bacchette in mano, sbuchiamo dal bosco una scalinata e atterriamo sull’asfalto apochi metri dall’arrivo, le grida, gli applausi degli amici e dei presenti, ancora lì a tifare chi arriva, nonostante siano passate 5h52’ dal momento in cui siamo partiti.
martedì 18 dicembre 2007
fame d'erba (trail del bàngher) - 07 - daniela banfi
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