martedì 18 dicembre 2007

dolomites skyrace:due road alle porte del cielo - 07 - franz rossi

tratto da:
http://www.novararunning.it/racconti/Dolomites%20SkyRace.htm

Notizie dall'inviato.In effetti la Dolomites Skyrace, corsasi a Canazei domenica 23 luglio, con i cancelli stretti che chiudono fuori molti amatori e l'aura che ogni competizione "mondiale" si porta dietro mi vedeva ai nastri di partenza più come cronista che come atleta...
Il circo del Campionato Mondiale di SkyRunning è per molti versi simile a quello della Formula 1: una serie di eventi che si svolgono in diverse zone del mondo, dalla Spagna al Messico, passando per l’Italia che vede due competizioni e mezza (la Dolomites SkyRace, il trofeo Scaccabarozzi sulle Grigne e una gara a cavallo con la Svizzera, la Valmalenco).Ci sono figure di spicco, nomi famosi e uno sponsor che caratterizza tutte le manifestazioni.Ma i punti di contatto finiscono qui.
Poi c’è la corsa, gli atteggiamenti un po’ guasconi dei montanari moltiplicati dallo spirito goliardico che anima tutti gli amanti delle nuove discipline sportive, specialmente quando sono considerate “estreme”, la bellezza silenziosa e imponente dell’ambiente montano che ci accoglie e sopporta.
La mattina del sabato passeggiavo per il centro di Canazei, spiando con gli occhi le vette intorno e cercando di capire quale fosse il Piz Boè meta della gara.Le nuvole passavano veloci preannunciando una temperatura favorevole ma Giove Pluvio beneaugurante non basta a tranquillizzarmi. E’ una gara dura, 10 km in salita per un dislivello di 1700 mt e poi 12 km di discesa per altrettanti metri fino a ritornare al punto di partenza, la piazza di Canazei.In mezzo prati, ghiaioni, alcuni passaggi in cui bisogna appoggiare le mani alla roccia.Il record della corsa è di poco inferiore alle 2 ore e 10 minuti. Il tempo massimo concesso 4 ore e 15 minuti.
Al ritiro dei pettorali vado con la famiglia. Mia moglie guarda stupita questi runners provenienti dalla Spagna, dalla Gran Bretagna, dal Sudamerica e – ovviamente – dall’Italia.Si parlano tante lingue ma ci si capisce al volo. Si parla di scarpe, di bastoncini da portare o da lasciare, della giacca a vento che da questa edizione è diventata obbligatoria.Mia figlia si impossessa della sciarpa-bandana, un omaggio della Buff, sponsor ufficiale, realizzata apposta per la gara. La lascio fare, io ho puntato una maglia in pile con il logo della Dolomites SkyRace e pregusto il momento in cui la sfoggerò con gli amici: piccole vanità subito ridimensionate dal pensiero di non riuscire a restare nei tempi.
Passa un’ora e mi telefona Franco Valsecchi, altro Road presente alla gara insieme ad un po’ di amici della DRS, la lista internet di podisti.Lo raggiungo all’ufficio gara, questa volta da solo, lasciando la famiglia in camper a godersi un po’ di meritato riposo. E’ un modo per assaporare di più l’ambiente. Con Franco incrocio Francesco, entrambi belli carichi di adrenalina.Nell'elenco degli iscritti ci sono nomi mitici, alcuni già conosciuti di persona come Bruno Brunod e Pietro Trabucchi, altri di cui ho solo letto sul web o sulle riviste specializzate.
La sera ceniamo con la mia famiglia e andiamo in piazza a vedere la presentazione dei top runners.Si inizia con il filmato (presente anche su www.dolomiteskyrace.com) che fa letteralmente venire i brividi e poi c'è la presentazione del percorso. Strappo a mia figlia una promessa di non raccontare troppo alla madre e andiamo a dormire carichi e contenti.
Il mattino dopo, sveglia alle 6.30, colazione, preparazione di rito e passeggiata verso la piazza del paese.Il sole appare e scompare, ma la temperatura è perfetta e in canotta e pantaloncini del Road non sento freddo.Ho in vita la borraccia con legata sopra la giacca a vento. Ho optato per non portare i bastoncini con i quali non ho esperienza. Il pettorale mi stringe, denunciando fin da subito quanto il mio fisico sia inadatto a queste competizioni, almeno a questi livelli.Sotto lo striscione dello Start incrocio Franco e Francesco e facciamo un po’ di riscaldamento, subito interrotto dall’incontro con Bruno Brunod. E’ un campione, lo ha dimostrato mille volte, l’ultima questa estate quando è quasi riuscito a salire di corsa sull’Everest. Ma per me lo dimostra ancora di più oggi, quando salutandoci ci dice sereno: “Non sono riuscito ad allenarmi quanto avrei dovuto, quindi non posso aspirare a grandi risultati. Ma la gara è bellissima e ogni volta che indosso il pettorale io mi diverto!”, modestia e semplicità.Bruno continua dandoci alcuni consigli sul percorso, subito dopo il Piz Boè la discesa è tecnica, bisogna fare attenzione...
Troviamo gli altri DRS: Gianluigi da Milano, Cristiano, Stefano, Riccardo da Venezia e Treviso. Siamo un bel gruppetto, entrati nella gabbia ci posizioniamo dietro a tutti e aspettiamo il via.L’elicottero giallo e rosso della televisione (e del soccorso alpino) si alza e con lui la corda che dà inizio alla nostra avventura.Corro sciolto vicino a Riccardo, il più lento dei nostri, passiamo la piazza, giriamo a sinistra e ci infiliamo in una strada in salita (ma guarda che bella quella casetta decorata), la strada presto si trasforma in mulattiera e comincia ad inerpicarsi.Qui in una gara normale si inizia a camminare e io comincio a guadagnare posizioni, invece sono ancora ultimo… nessuno molla. Magari si infila qualche metro di buon passo nei punti più ardui ma poi si riprende subito a correre.Si sale fino ad una strada asfaltata, il primo dei tornanti del Passo Pordoi reso celebre dalle imprese epiche dei ciclisti nei tanti Giri d’Italia, ma l’asfalto è tabù, si percorre la massicciata e si supera di slancio la strada per affrontare un altro tratto su mulattiera e poi l’inizio della pista da sci.
Curioso percorrere una pista come questa in senso contrario e senza neve. I ponti in legno portano le tracce dei puntali dei bastoncini e rimbombano dei passi di noi podisti.Arranco e non mollo, punto un atleta un po’ più avanti. I pettorali sono stati assegnati in ordine di nascita: più si è vecchi più alto è il pettorale. Io con il mio 332 su 450 iscritti mi piazzo nella seconda metà, ma il 391 mi sembra irraggiungibile.Non fa caldo ma sudo molto per lo sforzo. Cerco di dosare le energie, di correre in soglia e di arrivare prima possibile all’Hotel Pordoi. Subito sopra ci sarà il primo cancello orario: 1 ora e 5 minuti.La mia strategia di gara è semplice: cerco di mettere un po’ di fieno in cascina fino al primo cancello. Lì decido in base al tempo se prendermela un po’ più comoda o se continuare a spingere.All’Hotel Pordoi arrivo bene, supero agilmente una ragazza inglese con un paio di pantaloncini del colore della Union Jack, supero anche un paio di runners che avevo nel mirino già da una decina di minuti, e vengo superato dal pettorale 401 (complimenti). Mi rendo conto che i bastoncini aiutano molto in salita, atleti che supero agilmente appena cala la pendenza mi riprendono spingendosi con i bastoni. Altro appunto mentale per la prossima gara in montagna.
Finalmente in alto (e come potrebbe essere diversamente) vedo il Passo Pordoi, 2238 mt slm, 788 metri saliti dalla partenza (per uno sviluppo orizzontale di 5,8 km), spingo, sbuffo, vedo il ristoro, trangugio un bicchiere di tè e uno di acqua e guardo il cronometro 58’20”. Non c’è tempo da perdere, affronto la salita di buon passo e rincorro i concorrenti davanti a me. Il terreno si è fatto più ripido e sabbioso. I piedi scivolano indietro ad ogni passo, i bastoncini mi mancano ancora di più. Cerco di concentrarmi sul passo, sui punti in cui poggiare i piedi, spio chi mi precede. La terra cede il passo alla ghiaia rocciosa, guardo un attimo in alto e scorgo lontanissima la forcella del Sass Pordoi e il serpentone di atleti che mi precede. Guardo in basso e la coda dietro me è stata troncata al cancello inferiore. Il piede perde l’appoggio e scivolo, mi maledico e mi concentro di nuovo sulla corsa. Accelero il più possibile con la paura di restare chiuso fuori dal cancello dell’ora e cinquanta.
Fatica. Sudore. E gente che applaude sul sentiero, gente di montagna che sta percorrendo la nostra stessa strada, che riconosce la fatica che ci vede in faccia, che è in marcia da alcune ore solo per poterci applaudire, che ci cede volentieri il passo, anche a noi che chiudiamo la fila. La solita bugia: "Dai che andate bene, siete in forma, non mollate!"
Ho deciso di non guardare l’orologio per non forzare il passo, ma raggiungo uno stanco “collega” di salita che bofonchia all’amico parole di conforto: “E’ passata 1 ora e mezza ce la possiamo fare”.Anch’io sento a portata di mano l’impresa. L’unico traguardo adesso è la forcella da cui sento provenire urla esaltanti e rauchi richiami di corvi. Spingo appoggiando con le mani sulle ginocchia, sposto tutto il peso in avanti in modo da avvantaggiarmi della forza di gravità. E finalmente, dopo l’ennesima curva, alcuni scalini tracciati con il legno mi conducono alla forcella. 2829 mt, 591 mt di dislivello dal Passo Pordoi, per solo 1500 metri di sviluppo lineare, meno di quattro giri di pista.
Le grida della gente mi aiutano, guardo l’orologio 1:40 sono salito molto bene, meglio di quanto pensassi, ma adesso cosa mi aspetta? Prendo tempo al ristoro. E ripenso al Trail del Bangher la scorsa domenica, all’interminabile e penosa discesa.Dopo la forcella il sentiero ci porta su un altopiano “lunare” dove regnano il vento e la pietra. Lo sguardo spazia lontano e il tempo assume un altro ritmo.Torno a correre di nuovo dopo quasi un’ora di faticosa salita. Ritrovo il ritmo, il sentiero, pur stretto, è bello sgombro e si può andare. Il fotografo ufficiale mi riprende mentre supero un podista che inciampa e vola e si rialza in un balletto aereo. La salitina mi conduce alla fine di una spaletta rocciosa, superata la quale scorro con lo sguardo il nuovo panorama e la nuova sfida: il Piz Boè, 3152 metri di altezza.
La filosofia che sta dietro allo SkyRunning è semplice: da un paese di montagna di sale di corsa in cima ad una montagna che sovrasta il paese e si torna giù nel minor tempo possibile. Il Piz Boè è il mio prossimo obbiettivo. Dopo di lui non ci sarà più salita ma solo la lunga discesa verso valle.Il respiro è sciolto, non sento l’altezza o per lo meno non mi sembra di sentirla. Supero agilmente alcuni tratti impegnativi, affondo il piede nella neve mentre supero un nevaietto e affronto un salto con un tratto di ferrata. Mi isso lungo la corda, supero un gruppo di escursionisti tifosi che si sono bloccati su un passaggio difficile. Il cuore mi si gonfia d’orgoglio entrando nelle loro menti e immaginando i loro commenti. E’ una sorta di auto esaltazione. E si sale… si sale… cedo il passo ad un concorrente che mi raggiunge proprio mentre incrociamo dei suoi amici che lo incitano. Dall’alto sento chiamare per nome un altro corridore. Mi manca il supporto personalizzato, vorrei poter contare su un volto amico. Questi ultimi 323 metri di dislivello sono belli tecnici, la roccia è solida e il percorso ben segnato e corredato di funi nei posti più esposti. Però i quadricipiti tremano per lo sforzo e anche un singolo passo diventa difficile.
Dall’alto una ragazza mi grida “Forza Francesco che ce l’hai fatta!”, l’organizzazione (impeccabile in ogni punto) raggiunge l’apice in queste cose. La ragazza ha in mano l’elenco degli iscritti, spia il mio pettorale, scorre la lista e mi incita per nome. L’ho potuta ricambiare solo con un sorriso, mentre passavo oltre e raggiungevo il ristoro in vetta al Pizzo.
Ed ecco la discesa, la tanto temuta discesa. Mentre scendo i primi metri il cuore mi si allarga, il passo ritrova il ritmo che mi era proprio quando da ragazzo calcavo le Dolomiti nelle escursioni estive. I ghiaioni lungo i quali scivolare, i balzi da una roccia all’altra, rimbalzando via leggero, la sicurezza del passo. Gli incubi si dissolvono mentre acquisto parimenti velocità e confidenza. Data la velocità dei concorrenti i volontari che segnano il percorso devono essere più numerosi. Gli escursionisti ci guardano come fossimo dei pazzi e ci cedono il passo. Quelli che salgono si fermano nelle curve del sentiero, quelli che scendono non fanno a tempo a spostarsi che vengono aggirati. Una curva secca e il sentiero precipita verso valle. Dei tronchi tracciano la strada e forniscono utili appoggi. Qui il primo è volato tentando di tagliare per la massima pendenza, io prudentemente rallento, per poi riprendere subito il passo e saltare gli ultimi gradini di roccia prima del Rifugio Boè.
Da qui fino a valle è un alternarsi di sensazioni forti e di immagini che scorrono accelerate.Il canalone dal quale risale l’elicottero come si vede in molti film d’azione, la serpentina del sentiero che diligentemente seguo mentre una forte atleta spagnola appoggiandosi ai bastoncini taglia per la massima pendenza, l’alternarsi al comando con un concorrente di pari forza entrambi attenti a non scaricare pietre su chi ti precede, lo sguardo triste del pettorale 180 che infortunatosi al ginocchio deve scendere lentamente a valle mentre vorrebbe saltare lungo le pendici, i 500 metri lineari in cui si scende per 500 metri, una specie di scivolo naturale (unica mia caduta della giornata), i pini mughi che tolgono il respiro e nascondono le insidie del sentiero, ma soprattutto l’ultimo sguardo riverente verso il Piz Boè che altissimo ti conforta sull’impresa appena compiuta.
E infine il sentiero spiana, mancano 4 km, meno di due giri di Montagnetta, le unghie dei piedi mi dolgono ad ogni passo, eppure guardo il cronometro e penso che sicuramente finirò in classifica, forse potrei stare sotto le quattro ore.E aumento il passo e non mi fermo più a camminare, anzi in discesa lascio correre le gambe incurante delle fitte, e ritrovo le case di Canazei, supero ancora un concorrente ed accelero per non farmi raggiungere a sorpresa, e finalmente l’ultima curva e il traguardo. 3 ore e 45 minuti. Sono soddisfatissimo.Lo speaker ha annunciato il mio arrivo chiamandomi per nome e cognome e dichiarando la società Road Runners Club Milano, da oggi anche un po’ Trail Runners Club, mia figlia e mia moglie non mi aspettavano così presto (un po’ di pre tattica mi aveva fatto dichiarare un tempo di 4:15).Anche Franco è all’arrivo, stanco e soddisfatto del suo 3:08 che lo pone 198esimo tra gli uomini. E così tutti gli altri con Francesco, nostro eroe della giornata, che ha fermato il cronometro in 2:48 (109esimo), Gianluigi tra i primi della sua categoria e Riccardo, ritiratosi al primo cancello eppure soddisfatto dell’esperienza.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Volevo farti i complimenti...mi chiamo Francesco, ho 25 anni e vengo sulle Dolomiti fin da bambino. Amante della montagna e della Natura, appassionato di bici su strada e di escursionismo non posso non essere innamorato della Skyrace, gara che spero di poter fare il 2009 per poter provare quelle emozioni indelebili di tagliare il traguardo e dire "ce l'ho fatta", per confrontarsi con se stessi e con i propri limiti, per sentirsi vivo e per sentire le altre persone che ti incoraggiano tra ammirazione e stupore.
Gran bel commento...spero di poterlo aggiungere anche io un giorno sul mio blog (http://frammento82.spaces.live.com)
Saluti Francesco